Impresa e Banche: un rapporto basato sempre più sulla prudenza che sulla fiducia


Tutti noi abbiamo ben presente la scena dell’imprenditore che si reca dalla propria banca di fiducia chiedendole un prestito e tentando, soprattutto nei momenti di difficoltà della propria azienda, di far leva sul rapporto più o meno storico tra i due; nonché sulla costante virtuosità e sull’onore che hanno sempre contraddistinto lo stesso soggetto, asserendo che, per l’appunto, si tratta solo di un momento di sofferenza che verrà superato con successo se solo la banca potesse andargli incontro. Ebbene, se in passato era plausibile attendersi un “lieto fine”, oggi la situazione è senza dubbio mutata, dal momento che la banca è stata investita nel corso degli anni di una mole sempre maggiore di limitazioni, controlli e vincoli più o meno stringenti, che lasciano ormai sempre meno margine di manovra alle banche per erogare il fido.Il primo grande shock finanziario si è verificato nel 2008, con la crisi immobiliare scoppiata in USA, quando le banche avevano concesso prestiti indiscriminatamente, creando i primi crediti deteriorati – non performing loans - NPL. In quegli anni erano già stati approvati gli accordi di “Basilea 1 e 2”[1], che prevedevano dei requisiti patrimoniali più rigorosi, ma la portata catastrofica di tale evento mise a nudo le carenze del sistema bancario, in particolare l’insufficiente patrimonializzazione, e pose le basi per l’adozione del nuovo accordo Basilea 3. L’obiettivo delle Autorità internazionali era in particolare quello di rendere più solido ed efficiente il sistema bancario. Da un lato, impegnando le banche a valutare più attentamente il profilo di rischio del cliente[2], e, dall’altro, puntando su una maggior patrimonializzazione delle stesse, differenziando gli accantonamenti patrimoniali in funzione della rischiosità del prestito, in modo da evitare la concessione di prestiti chiaramente rischiosi e di trovarsi preparati di fronte ad eventuali futuri scenari di insolvenza, evitando crisi di liquidità. Logica conseguenza fu ovviamente quella di una contrazione del credito (credit crunch) ed un freno all’economia, sacrificio ritenuto indispensabile per salvare il sistema del credito. La concessione del prestito era adesso vincolata ad un’analisi piuttosto automatizzata dell’affidabilità creditizia dell’impresa, basata su parametri economici, finanziari e patrimoniali. Da qui deriva il concetto di rating bancario dell’azienda.Questa valutazione si compone di quattro parametri:

  • la probabilità di insolvenza del debitore (probability of default);
  • l’esposizione al momento dell’insolvenza (exposure at default);
  • la perdita attesa nel caso di insolvenza Loss (given default);
  • la vita residua del debito nel caso di insolvenza (maturity).
Ovviamente, in base alle oscillazioni degli indici di rischio, la banca dovrà predisporre un maggiore o minore accantonamento a copertura del credito concesso; ne consegue che i costi per l’erogazione del fido saranno indubbiamente inferiori per le aziende con un rating bancario migliore, perché la banca deve predisporre meno accantonamenti a copertura. Occorre inoltre precisare che, in caso di deterioramento del rating, la banca può effettuare una richiesta di rientro dell’esposizione, la cui incidenza dipenderà da una valutazione della banca, magari tenendo anche conto del rapporto fiduciario con l’impresa.Come se non bastasse, sono ora in corso i lavori per “Basilea 4”, per porre fine ad alcune prassi bancarie più “soft” e flessibili verso i clienti.Gli istituti bancari saranno chiamati non solo a controlli più serrati ed a maggiori accantonamenti, ma dovranno fare una valutazione prognostica sulla possibile deteriorabilità del credito, già prima che arrivino i segnali preoccupanti[3], con un costante aggiornamento degli accantonamenti in base alle oscillazioni prestazionali dell’indice che misura il rischio del credito.In particolare, le banche dovranno effettuare un’analisi di triplice natura:
  • quantitativa, basata sulla documentazione contabile dell’azienda;
  • qualitativa, che prevede un esame frontale dell’azienda (tipo di attività, progettualità, mercato di riferimento, governance, compliance ecc.);
  • andamentale, di tipo interno (rapporto col cliente, movimentazione del conto, eventuali sconfinamenti ecc.) ed esterno (eventi e comportamenti segnalati da altri soggetti creditori dell’impresa).
 In conclusione, le aziende sono oggi chiamate a degli sforzi (e costi) sempre maggiori, anche in considerazione di altri fattori che rendono competitiva l’impresa[4]. La tendenza è quella di un concetto di impresa sempre più clean, virtuosa, compliant ed affidabile, che rende necessario ripensare la governance e la strutturazione per munirsi di un’organizzazione idonea a facilitare questi sforzi e l’accesso al credito. [1] “Gli Accordi di Basilea sono linee guida in materia di requisiti patrimoniali delle banche, redatte dal Comitato di Basilea, costituito dagli enti regolatori del G10 più il Lussemburgo allo scopo di perseguire la stabilità monetaria e finanziaria”.[2] Generalmente un prestito concesso ad un’impresa è ritenuto dalla banca più rischioso rispetto, ad esempio, a quello erogato nei confronti di una famiglia, con la conseguenza di controlli più massicci alla base di tale concessione.[3] Il principio contabile IFRS9 prevede infatti che le banche debbano prevedere accantonamenti anche per i crediti in bonis, stimare le perdite attese e metterle a bilancio.[4] Si pensi al rating di legalità (v. rubrica "Il rating di legalità") Contributo a cura del Dott. Riccardo Ianni.