Startup: i documenti preliminari in materia di investimenti

Startup: i documenti preliminari in materia di investimenti


Il primo assunto in ambito di documenti preliminari all’investimento nelle startup è che la sostanza prevale sulla forma, perciò io posso anche voler stipulare una lettera d’intenti o un term sheet, ma se in realtà il contenuto di questi documenti corrisponde a quello di un contratto di investimento definitivo sarà quest’ultimo a venire ad esistenza, volente o nolente.

 

Ciò premesso, andiamo ad analizzare nel dettaglio i documenti di cui si tratta.

1. La “lettera di intenti” o “memorandum of understanding” consiste in una manifestazione di interesse, formalizzata in un documento sottoscritto dalle parti, in cui si esprime la volontà di valutare l’investimento e ha un contenuto “soft”, visto che tendenzialmente non vincola l’investitore in alcun modo, eccetto che per quella parte contenente clausole vincolanti, come ad esempio una clausola di esclusiva[1] o una clausola penale[2].

 

2. L’NDA (“non-disclosure agreement”), ossia l’accordo di riservatezza nel quale vengono rivelate delle informazioni riservate all’investitore e ci si tutela affinché le stesse non vengano divulgate all’esterno.

 

3. Il Term sheet, di origine anglo-americana, possiamo definirla come una lettera di intenti “esplosa”, visto il suo contenuto più ampio, alla luce del fatto che può contenere buona parte delle condizioni del contratto di investimento con enunciazione dei diritti richiesti dall’investitore[3].

 

4. Come visto per la lettera d’intenti, anche per il term sheet non può parlarsi di un documento vincolante; tuttavia, maggiore sarà il grado di dettaglio e analiticità delle clausole nello stesso contenute, maggiore sarà il rischio di incorrere in ipotesi di responsabilità precontrattuale, nel caso in cui non si dovesse addivenire alla stipula del contratto di investimento definitivo.

In sostanza, vediamo come questi documenti siano in realtà degli “ibridi” in quanto, sebbene nati per manifestare un mero interesse e per concertizzare a grandi linee le condizioni generali di investimento, vanno poi ad approssimarsi a livello contenutistico in un contratto di investimento vero e proprio.

 

5. Il contratto preliminare[4], infine, è l’unico dei documenti ad avere un effettivo carattere vincolante, in quanto impegna le parti alla stipulazione del contratto definitivo e contiene tutti gli elementi di quest’ultimo.

 

[1] La startup con questa clausola si obbliga a trattare solo e soltanto con un determinato investitore per un determinato periodo di tempo.

[2] Clausola che potrebbe prevedere delle penali in caso di abbandono delle trattative in mala fede (pericolosa da inserire per i problemi ermeneutici che potrebbero sorgere nel giudizio di sussistenza della “mala fede”).

[3] Esempio: una clausola di anti-diluizione che offre agli attuali investitori il diritto di mantenere la loro percentuale di proprietà nella società acquistando un numero proporzionato di nuove azioni in una data futura in cui i titoli saranno emessi.

[4] Poco usato quando si parla di startup.

 

 

 

 

Contributo a cura del Dott. Piermarco Di Lallo.


Le fasi del processo di investimento nelle startup.

Le fasi del processo di  investimento nelle startup


Preliminare ad ogni operazione di investimento è l’attenta strutturazione di un time table[1] che ne scandisca le varie fasi: è utile capire come funziona.

Il primo step consiste nella presentazione dell’idea alla base della startup da costituire o della startup esistente, qualora sia già stata costituita e sia operativa, nei vari programmi di accelerazione[2], contest o festival disponibili.

 

In queste sedi, si potrebbe attirare l’attenzione di qualche investitore interessato al progetto e con questo i soci potrebbero cominciare a scambiarsi alcuni documenti preliminari come una lettera d’intenti, un memorandum of understanding[3] o un term sheet[4], senza dimenticare ovviamente la preventiva o quantomeno contestuale richiesta di sottoscrizione di un NDA[5], ossia di un accordo di non divulgazione, da farsi solo qualora ci siano delle informazioni effettivamente riservate che rendano necessaria una tutela di questo tipo[6], onde evitare di creare sin da subito dissapori o diffidenze tra le parti.

 

Successivamente a questo primo scambio documentale, si apre la fase della due diligence in cui i consulenti dell’investitore vanno ad analizzare la startup sotto il profilo legale, fiscale e tecnico[7], nonché dal punto di vista dei financial e quindi delle cosiddette metriche[8] (in pratica, l’aspetto finanziario).

 

Chiaramente, l’intensità e la durata della due diligence è proporzionata al grado di maturità della startup: più la startup è matura, maggiori saranno i controlli da eseguire e, quindi, più si allungheranno i tempi di chiusura di questa fase centrale del processo di investimento, alla quale seguiranno la fase di negoziazione del contratto di investimento vero e proprio, l’aumento di capitale e poi le conseguenziali modifiche dell’atto costitutivo, dello statuto e dei patti parasociali.

Ne parleremo nelle prossime puntate.

 

 

[1] “Tabella di marcia”

[2] I programmi di accelerazione permettono alle startup di accedere a capitali e investimenti in cambio di equity (quote o azioni di minoranza della società stessa con una percentuale che varia a seconda dell’investimento e del valore della startup).

I programmi seed hanno una durata compresa tra i due e quattro mesi e si rivolgono a imprese meno mature offrendo loro servizi (alcuni gratuiti ed altri a pagamento) e fornendo loro l’opportunità di presentare le loro idee a degli investitori tramite presentazioni pubbliche (public pitch event) o giornate dimostrative (demo day). I servizi offerti includono la condivisione di spazi di lavoro, formazione, mentorship, (consulenza fornita dai cosiddetti mentor startup), accesso a risorse tecniche e logistiche (supply chain).

I programmi di second-stage hanno una durata variabile tra i 2 ed i 6 mesi e si rivolgono a startup più strutturate alle quali offrono l’opportunità di connettersi con network di altre imprese dalle quali possono apprendere molto, condividere esperienze e di incrementare le chances di nuove opportunità. Il fine di questi programmi è infatti quello di rafforzare il loro posizionamento nel loro mercato di riferimento.

[3] Termine che in ambito internazionale corrisponde al nostro memorandum d’intesa, ossia un documento giuridico che descrive un accordo bilaterale (o più raramente multilaterale) fra due o più parti. Esso esprime una convergenza di interessi fra le parti, indicando una comune linea di azione prestabilita, piuttosto che un vero e proprio vincolo contrattuale. È un'alternativa più formale rispetto ad un semplice accordo tra gentiluomini (gentlemen's agreement), anche se generalmente non ha il potere di un contratto.

[4] il term sheet è un documento, generalmente redatto dall’investitore, attraverso il quale lo stesso esprime un interesse ad investire nella (e/o acquisire la) startup.

[5] Non-disclosure agreement

[6] Ad esempio un progetto avente ad oggetto la brevettazione di un quid!

[7] Si pensi agli aspetti informatici, sia parte hardware che parte software.

[8] Esistono quattro rapporti di base che vengono spesso utilizzati per selezionare le azioni per i portafogli di investimento. Questi includono il prezzo-guadagno (P/E), l'utile per azione, il debito su capitale e il ritorno sul capitale (ROE).

 

 

 

Contributo a cura del Dott. Piermarco Di Lallo.


L’aumento di capitale sociale nelle startup

L’aumento di capitale sociale nelle startup


La delibera di aumento del capitale sociale nelle startup è, di solito, approvata dall’assemblea dei soci di fronte a un notaio e all’unanimità, nonostante l’unanimità non sia richiesta dal nostro ordinamento, che ritiene, invece, sufficiente il voto favorevole di tanti soci che rappresentino almeno la metà del capitale sociale. Tuttavia, guardando alla prassi, gli investitori richiedono, nella maggior parte dei casi, che la delibera sia approvata da tutti i soci della startup. Questo perché, specie nelle prime fasi di avviamento del progetto, l’investimento si concentrerà più sulle persone che sull’attività in sé per sé, rendendo, quindi, il capitale umano determinante.

Per quanto riguarda il contenuto della delibera in questione, c’è da dire che questo può essere molto vario.

 

Innanzitutto, distinguiamo il caso della scindibilità o inscindibilità dell’aumento di capitale, proponendo un esempio pratico per semplificare il concetto.

Ipotizzando che voglia raccogliere 500.000 € di capitale sociale, la startup si trova di fronte ad una prima scelta di campo:

1 - sottoporre l’efficacia della delibera alla condizione che sia sottoscritta e versata tutta la somma;

2 - oppure non rendere vincolante il conferimento, da parte degli investitori, dell’intera somma, ai fini dell’efficacia della delibera.

 

In questo secondo caso saremmo di fronte ad un aumento c.d. “scindibile” del capitale sociale, nel primo invece si parlerà del c.d. aumento inscindibile.

L’aumento di capitale può poi essere riservato e non riservato.

Il primo consiste in un aumento di capitale in cui i soggetti che potranno sottoscriverlo sono già individuati (es. un investitore con il quale si siano già negoziate le condizioni di investimento e che è quindi pronto a sottoscrivere l’aumento di capitale) o, quantomeno, individuabili (es. sono già arrivate delle manifestazioni di interesse, c.d. soft commitment, nei confronti del progetto, da parte di alcuni soggetti con i quali si andranno poi ad aprire separati tavoli, ai fini della negoziazione per capire quali saranno coloro che effettivamente sottoscriveranno l’aumento del capitale).

 

Proseguendo l’analisi delle modalità di aumento di capitale, bisogna sicuramente distinguere l’aumento di capitale a titolo gratuito da quello a pagamento.

Il primo, molto raro in verità, comporta semplicemente una diversa collocazione in ottica di bilancio delle disponibilità finanziarie di cui la società sia già in possesso: sostanzialmente non ci sarà l’ingresso in cassa di nuove risorse.

Di solito questo tipo di aumento di capitale viene utilizzato per effettuare l’esecuzione di un piano di incentivazione o di un piano di work for equity[1].

 

Più comune è il ricorso ad aumento di capitale a pagamento nel quale, invece, il conferimento di denaro è reale e ci sarà un soggetto che eseguirà un effettivo versamento nelle casse della società e che vede direttamente collegata a questa ipotesi la possibilità di procedere ad un aumento con[2] o senza[3] sovraprezzo. Tendenzialmente, l’aumento di capitale nelle startup sarà con sovrapprezzo, perché quest’ultimo sarà ad una sorta di “dazio” che l’investitore pagherà per entrare a far parte della società e permetterà all’impresa di poter contare su nuove risorse finanziarie utili all’attuazione del suo piano di attività.

 

[1] A titolo esemplificativo, ipotizzando che la startup abbia un capitale sociale nominale di 10.000 €, si potrebbero andare a traslare risorse allocate tra le riserve disponibili procedendo così ad uno “spostamento interno” che darebbe luogo ad aumento di capitale gratuito. Le ulteriori quote (o azioni) che vengono così create potrebbero essere conferite tanto a soggetti già facenti parte della compagine sociale quanto a soggetti esterni, come ad esempio i lavoratori della società, che le riceverebbero a titolo gratuito o, comunque, ad un prezzo di favore.

[2] Il sovrapprezzo, come già spiegato nel post “Come investire in una startup?”, consiste sostanzialmente in un delta positivo che va ad evidenziare la differenza tra il valore di mercato della startup prima dell’investimento (c.d. valore “pre-money”) e il valore di mercato della startup dopo l’investimento (c.d. valore “post money”). Il valore “pre-money” viene definito a seguito della due diligence legale, fiscale e tecnica e vedrà l’assegnazione alla singola quota societaria di un determinato valore di mercato che differirà dal valore nominale, andando a costituire il punto di partenza per l’operazione di investimento.

[3] Sostanzialmente presuppone che il valore di mercato della quota sia stimato come pari al suo valore nominale e quindi l’ipotetico fondo di investimento alpha andrà a versare il solo valore nominale della quota per entrare in società.

 

 

Contributo a cura del Dott. Piermarco Di Lallo.


Come investire in una startup?

Come investire in una startup?


Per comprendere le dinamiche relativa al finanziamento delle startup, bisogna tenere in considerazione tanto i soggetti coinvolti nel processo di investimento quanto l’oggetto dell’investimento, consistente nelle modalità di raccolta del capitale di rischio.

Sotto il profilo soggettivo, ricordiamo che esiste una naturale divisione tra la startup e le figure professionali ad essa collegate (amministratori - persone fisiche ed eventuali soggetti in forma societaria come “Business Angel” o “acceleratori”) da un lato, e gli investitori, nella maggior parte dei casi rappresentati da fondi di investimento, dall’altro.

Da qui si apre un’ulteriore bipartizione rispetto al grado di maturazione della società target destinataria dell’investimento; investimento che può riguardare, infatti, una startup costituita o una startup ancora da creare.

Nel caso di una realtà societaria già costituita, il processo di investimento avviene per lo più ricorrendo all’aumento di capitale con sovraprezzo, che sarebbe bene spiegare con un esempio: ipotizziamo che la startup abbia un capitale sociale pari ad € 10.000 e sia composta da due soci che decidono di deliberare un aumento di capitale sociale a pagamento con sovrapprezzo, riservato al Fondo di Investimento Alfa, il quale entrerà nella compagine sociale con una quota pari al 33,33%, per un investimento complessivo di capitale di rischio pari a € 200.000. In questo caso, 5.000 € verranno imputati a capitale che passerà così da 10.000 a 15.000 € e i restanti 195.000 € verranno invece imputati a riserva da sovrapprezzo, con una cap table finale che vedrà i due soci e il Fondo di Investimento Alfa, titolari ciascuno di una quota di valore nominale pari ad € 5.000 e rappresentativa del 33,33% del capitale sociale della startup.

Il sovrapprezzo è, quindi, costituito dalla differenza positiva esistente tra il valore della startup al momento della costituzione e quello al momento dell’aumento di capitale e, pertanto, dalla differenza tra la somma effettivamente versata (€ 200.000) e la somma necessaria all’aumento di un terzo del capitale sociale (€ 5.000): in buona sostanza può dirsi che il sovrapprezzo costituisce il prezzo per consentire a soggetti terzi di entrare nella compagine societaria.

Oltre che facendo ricorso all’aumento di capitale con sovrapprezzo, si può realizzare l’investimento anche per il tramite di un acquisto quote, sebbene si tratti di una pratica superata e dal risultato meno immediato in quanto il denaro passa dalle tasche dell’investitore alle tasche dei singoli soci e non invece direttamente alle casse della società, come avviene nel caso dell’aumento di capitale con sovrapprezzo.

Non è raro, invece, il ricorso a c.d. “operazioni miste”, soprattutto per le startup più mature, nelle quali si esegue, a fini di investimento, in parte un acquisto di quote e in parte un aumento di capitale con sovrapprezzo.

Qualora le logiche di investimento fossero rivolte ad una startup ancora da creare, il contributo consisterà in un’iniezione di liquidità, non per forza formalizzata, finalizzata a dare la prima benzina ai futuri membri della società, così che questi possano realizzare un MVP (Minimum Viable Product)[1] e naturalmente, al momento della costituzione della stessa, l’investitore entrerà direttamente nel capitale sociale della startup.

[1] L’MVP consiste nella versione iniziale del prodotto: quest’ultimo viene sviluppato con i minori costi possibili e con le caratteristiche sufficienti ad essere testato velocemente dai primi utilizzatori.

 

Contributo a cura del Dott. Piermarco Di Lallo.


Pesi e contrappesi nei rapporti tra startup e investitori

Pesi e contrappesi nei rapporti tra startup e investitori


Gli imprenditori, specie se di giovane età, tendono sempre più ad usare le startup come forme societarie privilegiate, per via delle agevolazioni economiche e fiscali riservate a queste imprese emergenti.

 

Un problema tipico di queste realtà è la ricerca continua (a volte esasperata) di iniezioni di liquidità, da parte di investitori terzi, necessarie per operare sul mercato, crescere e diventare sempre più autonoma finanziariamente; che questo investimenti promanino dai c.d. “business angels[1]” o da una base di “azionariato corale[2]” come nel caso del crowdfunding, quel che emerge con una certa frequenza è l’asimmetria informativa tra gli investitori, da un lato, e le start up, dall’altro, con ovvio danno per queste ultime.

 

Difatti, capita spesso che per ingenerare fiducia nei soggetti che dovranno andare a rimpolpare le finanze societarie, gli startupper tendano a non esprimere dubbi e perplessità circa i termini della trattativa in corso, sebbene nella realtà non abbiano il quadro di quest’ultima completamente chiaro. Questa situazione sconveniente per entrambi gli interlocutori e che tende a generare sfiducia e diffidenza tra le parti, spesso si verifica quando non ci sono molti investitori con cui negoziare per un determinato progetto e quindi aumenta il principio di necessità a fronte del principio di opportunità[3].

 

La realtà delle cose è che gli investitori fanno delle richieste che le startup possono (e devono) negoziare nella giusta misura, in base a poche e ragionate priorità di business, che devono presupporre una chiarissima consapevolezza di quello che si può chiedere e soprattutto di come va chiesto: pertanto, è cosa buona e giusta andare a “scavare” nelle clausole che non entusiasmano particolarmente lo startupper, sollevando obiezioni che dimostrino consapevolezza e conoscenza della materia, ma senza dimenticare le ragioni ed esigenze che animano e sono alla base delle attenzioni e degli interessi delle controparti, desiderose di scorgere il tornaconto economico, quantomeno nel medio-lungo periodo.

 

Abbiamo deciso di avviare un percorso di spiegazione delle clausole di M&A più frequenti ed importanti, a partire dalla prossima puntata.

 

[1] I Business Angels sono tipologie di investitori che investono nella fase seed, ossia iniziale, anche precedente alla effettiva costituzione della startup e tendono per lo più ad investire in imprese che lavorano in settori già da loro conosciuti. Un Business Angel opera indicativamente su dimensioni di intervento tra i 10.000€ ed i 500.000€ e avendo un’approfondita conoscenza del settore di mercato della neonata società è in grado svolgere la due diligence in modo veloce ed a costi ovviamente contenuti, favorendo di fatto la creazione dal basso di nuove startup.

[2] In questa dizione possono ricomprendersi, oltre al crowdfunding, l’azionariato popolare e i supporters’ trust.

[3] Il principio di opportunità-necessità esplicita una dinamica abbastanza intuitiva, cioè che il grado di negoziabilità di una trattativa decresce al decrescere del numero di interlocuzioni possibili con soggetti disposti ad investire nel progetto.

 

Contributo a cura del Dott. Piermarco Di Lallo.


Merger&Acquisition: closing A2A-Consul System s.p.a.

Merger&Acquisition: closing A2A-Consul System s.p.a.


Il Prof. Avv. Andrea Tatafiore unitamente ad altri professionisti del gruppo Studio Industria, si è cimentato in un importante operazione legale/finanziaria che ha portato la società A2A s.p.a. all'acquisizione del pacchetto di maggioranza della già cliente di Studio Industria, Consul System s.p.a..

Hanno preso parte alla lunga e difficile operazione alcuni dei primi stagisti della società.

Dell'operazione è stata data notizia all'interno delle maggiori riviste di settore.

Di seguito il link ove approfondire la notizia: http://www.abruzzoweb.it/contenuti/l-acquisizione-della-piu-grande-esco-italiana-con-la-regia-dell-avvocato-aquilano-tatafiore/612293-4/