Convenzione Superbonus Studio Industria-Harley&Dikkinson-Giovani Commercialisti

Convenzione Superbonus Studio Industria-Harley&Dikkinson-Giovani Commercialisti 


Studio Industria entra nella partnership tra Harley&Dikkinson e l'Unione dei Govani Commercialisti, che hanno siglato una convenzione per realizzare le verifiche di conformità nell'ambito dell'incentivo noto come "superbonus".

Nel dettaglio, riportiamo le dichiarazioni del Presidente dell'Unione.

"L'Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili e Harley&Dikkinson, fintech business designer rivolto a chi opera nella riqualificazione e valorizzazione degli edifici, hanno siglato una convenzione con l'obiettivo di supportare i cittadini in tema di Superbonus 110% e fornire un servizio professionale nella gestione delle piattaforme utili alla cessione del credito d'imposta. Per gli iscritti all'Unione si tratta di una vera e propria svolta: avranno, infatti, l'opportunità di assumere un ruolo importante nella filiera Superbonus, offrendo garanzie ai soggetti coinvolti nelle dinamiche di cessione del credito e aprendo una breccia in un settore della professione che attualmente presenta diverse barriere all'entrata, ancor più difficili da affrontare singolarmente". Lo annuncia Matteo De Lise, presidente dell'Ungdcec.

 

"I professionisti dell'Unione – prosegue De Lise – potranno, tra le altre cose, apporre il visto di conformità nelle procedure sottese alle piattaforme H&D in ambito di cessione di crediti da Superbonus, e potranno altresì proporre di utilizzarli ai propri assistiti, nel rispetto di uno specifico modello costruito dall'Ungdcec. In quest'ottica, per la prima volta verrà istituito uno standard certificativo di Aja Europe, anche col supporto di un partner affermato per la compliance strategica d'impresa come Studio Industria, che supporti i commercialisti e i revisori nella conduzione delle esigenze professionali collegate al visto di conformità, per avvicinare sempre di più le persone alla riqualificazione degli immobili e dunque alla sostenibilità".

 

Ci rende fieri vedere la notizia riportata dai principali quotidiani, la rassegna stampa è scaricabile cliccando qui.


La due diligence della startup

La due diligence della startup


La due diligence può avere durata e intensità[1] molto elastiche (che dipendono principalmente dal grado di maturità della startup[2]) e si sostanzia nell’analisi della società da un punto di vista legale, fiscale e tecnico[3].

 

Dal punto di vista legale, ci sarà sicuramente un vaglio documentale[4], che consisterà nello studio analitico dello Statuto e delle sue clausole, nonché degli eventuali patti parasociali[5] stipulati dai soci. Potrà poi seguire un focus di natura giuslavoristica, dove si attenzioneranno le dinamiche di subordinazione o collaborazione instaurate all’interno della società e i profili attinenti al rispetto della normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.

 

Anche l’analisi degli aspetti che fanno riferimento alla proprietà intellettuale, quali la registrazione dei marchi, l’originalità dei software[6], l’esistenza e l’intestazione di un eventuale nome a dominio, deve trovare spazio in questa importante fase del processo di investimento.

 

Infine, in ambito fiscale, si dovrà andare a verificare che ci sia stato il corretto pagamento delle imposte e delle tasse e che siano stati regolarmente versati i contributi agli enti previdenziali nel caso in cui il soggetto giuridico si sia dotato di personale dipendente.

 

 

[1] Da intendersi come profondità di analisi della società.

[2] La quale, in questo contesto di riferimento, prenderà il nome di “società target” ossia “società – obiettivo”.

[3] Per le startup più mature l’analisi comprenderà anche l’aspetto dei financial.

[4] Di cui si occuperanno, naturalmente, i consulenti dell’investitore.

[5] Sono “accordi privati” che regolamentano alcuni aspetti della vita societaria.

[6] Che dovranno essere poi analizzati anche da un punto di vista tecnico fronte brevettabilità.

 

 

 

 

Contributo a cura del Dott. Piermarco Di Lallo.


Investire in PMI innovative

Investire in PMI innovative


Le PMI innovative sono state introdotte nel nostro sistema normativo con il DL 24 gennaio 2015 n. 3, recante “misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti”. Un’impresa, per godere di questo status giuridico di favore deve soddisfare una serie ben definita di requisiti[1], ma in primis, per rientrare nel novero di PMI, deve occupare meno di 250 dipendenti ed avere un fatturato inferiore ai € 50mln o un totale di bilancio minore di 43 milioni.

 

La ratio sottesa a tale intervento è senza dubbio quella di favorire la crescita e lo sviluppo tecnologico di quelle piccole e medie realtà imprenditoriali, che costituiscono il motore trainante del nostro Paese, facilitando ed incentivando il ricorso all’investimento privato, da un lato, e prevedendo delle misure pubbliche di sostegno e di agevolazione nell’accesso al credito per le stesse imprese, dall’altro.

 

In tale ottica si collocano misure previste da una serie di interventi legislativi[2], non da ultimo il “D.L. Rilancio”, con un pacchetto di aiuti rivolti a start up e pmi innovative.

Soffermandoci in particolare sugli investimenti, si ritiene opportuno precisare in via preliminare come gli interventi del legislatore in questi anni si siano apprezzati in particolar modo per l’impulso alla creazione di canali di accesso all’investimento smart e rivolti ad una platea sempre più ampia.

 

L’iniezione di liquidità nelle casse delle PMI è stata favorita prevedendo ad esempio dei consistenti sgravi fiscali, pari al 30% dell’investimento, fino a € 1mln per le persone fisiche e € 1,8 per quelle giuridiche, condizionati al mantenimento della partecipazione nella PMI innovativa (holding period) per un minimo di tre anni.

 

Con il “D.L. Rilancio”, poi, la soglia del 30 è stata innalzata, per le persone fisiche, al 50% sino ad una cifra investita pari a € 300.000 ed è stato istituito, attraverso la legge di Bilancio. n. 145/2019, un Fondo di sostegno al Venture capital pari a € 200mln[3]. L’aspetto più interessante del Fondo sembra comunque essere la previsione dello strumento delle obbligazioni convertendo che, in sostituzione delle obbligazioni convertibili, spezzano una lancia in favore delle imprese in quanto producono l’automatica conversione in equity, ossia in azioni, e le aziende godono di tassi di interesse agevolati[4].

 

Inoltre, si è provveduto ad incentivare l’accesso al mercato anche alle categorie di piccoli investitori tramite la creazione di piattaforme online di equity crowdfunding[5], le quali sottendono il duplice scopo di raccogliere fondi e di educare l’investitore retail (alle prime armi) che si approcci magari per la prima volta ad una attività speculativa, attraverso la somministrazione di un questionario preliminare, il cui superamento è prodromico alla corretta sottoscrizione di capitale.

 

Ovviamente la sicurezza dell’investimento online è garantita dalla costante supervisione della Consob ed esiste un apposito elenco di operatori all’uopo autorizzati i quali fanno da recettori della richiesta di investimento, trasmettendola poi alle banche che procedono al perfezionamento della sottoscrizione di capitale presso la PMI innovativa individuata. A differenza del Venture capital, questo è uno strumento di finanziamento (rectius di partecipazione all’azionariato) collocabile nella fase di lancio dell’impresa (per le start up si parla di fase seed), per cui ben si presta a raccogliere cifre certamente inferiori rispetto agli ingenti capitali previsti per quelle successive che vengono definite come fasi early stage, terreno fertile per i Venture capitalist; possono inoltre rinvenirsi difformità di tipo ontologico tra le due soluzioni di investimento prospettate, in quanto quello dei Venture capitalist è generalmente classificabile come investimento prettamente speculativo e non rivolto alla partecipazione societaria.

 

Le misure incentivanti elencate nella trattazione, specialmente quelle rivolte ai “novizi” del settore, sembrano dunque orientate nel senso di promuovere una cultura dell’investimento e dell’innovazione che passi attraverso la conoscenza dell’impresa su cui si decide di puntare ed una partecipazione attiva alla crescita della stessa.

 

[1] art. 4, comma 1, DL 3/2015;

[2] V. in particolare Legge di Bilancio 2017; D.L. 34/2020, c.d. “D.L. Rilancio”;

[3] Per ulteriori approfondimenti sul funzionamento del Fondo: https://www.mauriziomaraglino.it/come-funziona-il-fondo-di-sostegno-al-venture-capital-dedicato-alle-startup-e-pmi-innovative/;

[4] La misura non può che porsi come strumento di tutela nei confronti delle startup, in quanto, mentre con le obbligazioni convertibili, generalmente, le stesse non venivano convertite in azioni ma si trattava di vero e proprio finanziamento, per le obbligazioni convertendo, al momento della loro emissione è già previsto che da capitale di debito si trasformino in quote azionarie.

La logica di questo strumento finanziario sta proprio nel fatto che gli investitori, al termine del percorso, diventino azionisti e quindi il valore delle azioni acquisite con la conversione non sarà più legato al costo che ha avuto l’operazione per l’investitore ma all’andamento del mercato, avendo dunque gli stessi la massima premura affinché la startup cresca in modo solido https://www.economyup.it/startup/fondo-rilancio-perche-il-convertendo-e-un-vantaggio-per-le-startup-ecco-come-funziona/;

[5] https://www.consob.it/web/investor-education/crowdfunding#c2.

 

 

 

Contributo a cura del Dott. Piermarco Di Lallo.


Le PMI innovative

Le PMI innovative


Le PMI innovative sono state introdotte nel nostro sistema normativo con il DL 3/ 2015, recante “misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti”.

 

Questa norma esprime la volontà di incentivazione del concetto di innovazione all’interno delle imprese italiane, ma se ne possono apprezzare gli effetti specialmente in riferimento al valore pratico-strategico; infatti, fino al 2015, gli imprenditori che volessero aprire un’azienda non vedevano nelle forme giuridiche e nelle normative fiscali offerte dalla legge italiana uno strumento di favore o di stimolo a fare impresa.

Considerando poi il divario tecnologico rispetto agli altri competitors europei, una manovra semplificativa sembrava inevitabile.

 

Un’impresa, per ottenere questo stato giuridico di favore deve rispettare una serie ben definita di requisiti[1], ma innnanzitutto, deve essere una PMI: deve occupare meno di 250 dipendenti ed avere un fatturato inferiore a € 50mln o un totale di bilancio[2] minore di 43 milioni[3].

Attenzione: sono ricompresi nel conteggio dei lavoratori anche i collaboratori esterni, gli amministratori, i soci che svolgono una funzione ulteriore rispetto a quella strettamente assembleare (ad esempio i soci lavoratori), gli stagionali e, comunque, tutti i dipendenti a tempo determinato, con esclusione degli stagisti e degli apprendisti.

Ai fini del conteggio si fa riferimento al concetto di ULA (unità lavorativa)[4].

 

I requisiti previsti dall’art. 4, comma 1, DL 3/2015 ricalcano in buona misura quelli richiesti per le start up innovative. Le differenze, oltre quelle strettamente numeriche, sono da ricollegarsi a una differenza sostanziale che contraddistingue le due tipologie di imprese: mentre le start up, come suggerisce la parola stessa, sono delle nuove realtà aziendali neo-costituite, le PMI innovative devono invece essere delle imprese già formate, costituite come società di capitali, anche in forma cooperativa. Infatti, è previsto che debbano presentare il bilancio dell’anno precedente certificato da un revisore contabile o da una società di revisione legale per accedere a detto status, pretesa di certo inapplicabile a una start up.

 

Oltre a ciò, una PMI innovativa deve avere la sede principale in Italia, o in altro Paese membro dell’Unione europea, purché abbia una sede produttiva o una filiale in Italia, e non essere quotata in borsa.

Non deve, poi, essere già iscritta alla sezione speciale delle start up innovative e degli incubatori certificati, ma è bene evidenziare come una start up possa senza soluzione di continuità cancellarsi dalla sezione di origine per passare a quella di PMI innovativa, conservandone inoltre gli incentivi, se compatibili col nuovo status.

 

Infine, e questo è il punto più interessante rispetto alle start up, la PMI, per essere innovativa, deve possedere 2 (e non solo 1) dei seguenti indicatori:

1) volume di spesa in ricerca, sviluppo e innovazione in misura almeno pari al 3% (per le start up il 15%) della maggiore entità fra costo e valore totale della produzione[5];

2) impiego come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in una quota almeno pari a 1/5 (per le start up 1/3) della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca, o dottorandi o ricercatori da almeno 3 anni in una quota almeno pari a 1/3 (2/3 per le start up) della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea magistrale;

3) titolarità, anche quali depositaria o licenziataria, di brevetto o altra privativa industriale o software, purché tale privativa sia direttamente afferente all’oggetto sociale e all’attività di impresa.

 

Nel post del prossimo mese proporremo una panoramica degli incentivi predisposti per le PMI innovative, onde comprenderne appieno i vantaggi sia per l’investitore che per l’imprenditore.

 

[1] art. 4, comma 1, DL 3/2015;

[2] Per totale di bilancio si intende il totale dell’attivo patrimoniale;

[3] Raccomandazione CE 361/2003;

[4] Ad esempio, se un’impresa ha assunto dieci lavoratori con contratto di 6 mesi ai fini del conteggio, le ULA saranno cinque;

[5] Per valore della produzione si intende il fatturato, incrementato delle giacenze della produzione di esercizio, escluse quelle degli anni pregressi.

 

 

Contributo a cura del Dott. Riccardo Ianni.